Le stelle erano sempre lo stesso imprecisato numero nel cielo, tranne per i dieci ragazzi che erano stati imprigionati a casa di Panfilo, per cui, in quei giorni, erano decisamente aumentate. Ormai non li teneva più in ostaggio l’obbligo di quarantena, dato che da qualche giorno si potevano muovere in discreta libertà. Ciò che li tormentava ogni giorno senza poter essere soddisfatto, era l’impellente bisogno di raccontare. Quell’immaginazione che aveva avuto per troppo tempo le redini del loro cervello in mano, non voleva rinunciare a farsi da parte solo perché era iniziata la Fase 2. Evidentemente, l’immaginazione non seguiva molto i telegiornali. Il fatto era che i dieci amici, una volta tornati ognuno a casa propria, avevano scoperto di non essere più abituati ad avere intorno a sé persone normali, produttive e dedite allo smart working o al footing. Sapevano che ognuno di loro avrebbe tecnicamente avuto qualcosa con cui tenersi impegnato, tra lo studio pre-esami e la tesi, ma sapevano anche riconoscere i sintomi della malattia: stomaco debole, attacchi epilettici per afferrare il telecomando, camminata instabile diretta alla dispensa dei dolci. Decisero di ritrovarsi tutti a casa di Panfilo per discutere di quello che stesse succedendo. Pampinea, che aveva la fama di una con la testa a posto diede l’avvio alla riunione: “Ragazzi! Non so voi ma io è da tre notti che non riesco ad addormentarmi perché penso alle api e alla filosofia”.
Filostrato commentò colto sul vivo: “Beata te, io non riesco più ad entrare in un bagno senza avere un attacco di panico innestato da allucinazioni”.
Lauretta aggiunse: “Io anziché studiare sto insegnando al mio pastore tedesco il nazionalismo con la musica classica di Willibald Gluck”. Insomma, tutti loro avevano un problema, e nessuno sapeva come risolvere il proprio. Pampinea capì che era il momento di esercitare la sua capacità di spiazzamento delle attese: “Non preoccupatevi, troveremo una soluzione. Ho qui il Grande Dizionario delle Ossessioni”.
“Il GraDiOss?! Come hai fatto a recuperarlo?!” esclamò un coro “È praticamente inserito nella lista dei libri proibiti!”.
“Davvero? L’ho trovato in una bancarella di libri usati al mercato delle pulci a Parigi. Me l’hanno dato per tre euro e quaranta; sospetto i francesi non abbiamo molti problemi ossessivi compulsivi. Ma perché era stato vietato?”.
“Non mi ricordo”.
“Non ne ho idea”.
“Perché guardate tutti me? Di solito so tutto, ma questa cosa non la so” sbottò Lauretta.
Per capirlo non restava che aprire quel libro. Non aveva l’aria del proibito; c’erano un sacco di disegnini e inchiostri colorati.
Pampinea iniziò a recitare: “Amaxofobia, paura di guidare”.
“Questa è la mia” esclamò Filomena.
“Autodisomofobia, paura di qualcuno con un cattivo odore.”
“Allora io credo di provarla verso l’alito di questo libro” sbuffò Elissa attirandosi le risate di tutti e qualche occhiataccia.
Pampinea scattò in piedi irritata: “Volete stare un po’ zitti?! Altrimenti non troveremo mai una soluzione se non faremo una buona diagnosi” nessuno ebbe più il coraggio di interromperla mentre spulciava nel dizionario aprendo pagine a caso e leggendo alcune definizioni.
“Mnemofobia, paura dei ricordi; didascaleinofobia, paura di andare a scuola; athazagorafobia, paura di essere dimenticati o ignorati; scotofobia, paura dell’oscurità; agateofobia, paura della pazzia; atiquifobia, paura del fallimento; fronemofobia, paura di pensare… “
“Esiste quella opposta, cioè pensare troppo? Voglio dire… trovarsi a pensare, fantasticare, immaginare in maniera spropositata rispetto agli elementi immediatamente presenti nella realtà sensibile che possono costituire oggetto di elaborazione psichica?”.
Tutti lo fissavano. Era decisamente tipico di Filostrato fare qualcosa che avrebbe fatto arrabbiare Pampinea. Lei invece questa volta chiuse di scatto il dizionario ed ebbe un attacco di sentimentalismo stile hippy: “Filostrato sei un genio! Ve ne siete accorti?”.
“Io sì” sorrise lui guadagnandosi un bel cuscino in testa.
Pampinea ormai aveva raggiunto il nirvana ed era irrefrenabile: “Fantasia! Il nostro problema è la fantasia. Siamo ubriachi d’immaginazione ragazzi, ve ne siete accorti? Io non riesco a fare un discorso sensato con i miei senza far entrare in mezzo qualche assassino e qualche investigatore, apro l’armadio e vedo al posto delle mie scarpe di camoscio degli stivali fatti con lingua di drago, mangio dei cereali a colazione e penso a come sembrino delle zattere di una battaglia al largo delle Maldive! Scott ci aveva avvertito, aveva avvertito tutti quanti riguardo il potere distruttivo dell’immaginazione. Certo, l’aveva fatto perché era certamente invidioso dei capelli di Hoffmann che erano sicuramente più belli dei suoi ma d’altronde che importanza ha?”.
“Nessuna” si ritrovarono a dover rispondere gli altri per non contraddirla.
“Ecco, bene. Allora abbiamo risolto. Il nostro problema è che non riusciamo a fare a meno delle storie, dobbiamo inventarne a migliaia ogni giorno, pur senza volerlo. Proprio adesso che dovremmo concentrarci sulle cose importanti, ci ritroviamo a fantasticare e immaginare peripezie inutili di personaggi inesistenti, che rischiano di mandare all’aria i nostri progetti di laurearci in sessione”.
Pampinea era furibonda.
“Io mi sento anche molto agatefobico però” disse qualcuno.
“E io anche scotofobico.”
“Io ho scoperto solo ora di essere didascaleinofobico, proprio ora che non vado più a scuola… E mia madre non me l’aveva mai detto!”.
“Non lamentarti che io sono menmofobico, athazagorafobico e ho anche la paura di leggere troppi libri gialli, dato che sospetto debba esserci un nome anche quella fobia.”
Tutti si fissavano con gli occhi sbarrati. Pampinea allora tornò alle prime pagine del libro. Dopo il frontespizio e il colophon, c’era quella Prefazione che tutti loro avevano imparato a saltare nei libri da bravi studenti universitari.
Iniziava così: “Attenzione lettore, il libro che hai per le mani ti può aiutare a decodificare le tue manie e ossessioni. Ma qualora ne fossi privo, potrebbe avere il potere anche di condizionarti dopo averlo letto. In poche parole, se tra queste follie non ne hai riconosciuta nessuna, stai certo che dopo aver letto il dizionario avrai comunque con te un ricordo della lettura: sarai diventato ipocondriaco”. Pampinea lanciò il libro dall’altra parte della stanza. Qualcuno iniziò ad assomigliare ai personaggi dei romanzi barocchi, scoppiando a piangere ininterrottamente. Alla fine, Filostrato parlò: “Ragazzi, credete a me. Non ero mai stato ipocondriaco e ora lo sono, ma ci farò l’abitudine. Come ce la faremo tutti. Ma sull’altra mania state certi che posso raccontare la mia esperienza. Io ho sempre avuto questo problema dell’immaginazione. La mia fantasia non poteva aumentare più di tanto, per cui, invece, stando con voi è diminuita. Comunque, posso assicurarvi che non si vive male con troppa immaginazione. Certo, qualche volta ci si sorprende con una forchetta in mano da mezz’ora perché quel boccone di carne si trasforma in tutte le specie animali che conoscete e poi in altre liberamente tratte da Harry Potter, ma poi, sapete, alla fine c’è anche qualche vantaggio”.
“Tipo?!?” sbottarono gli altri speranzosi.
“Tipo non ci si annoia” sorrise Filostrato di sottecchi.
Filostrato proseguì l’orazione sepolto tra i cuscini: “Credo di essere diventato più padrone della facoltà immaginativa che per anni mi ha tiranneggiato, grazie a questi racconti che abbiamo condiviso, al fatto che ognuno avesse il suo turno e che abbiamo dovuto lasciare spazio a ciascuno di farci entrare nelle sue fantasie ma poi abbiamo dovuto anche uscirne. Ora che ognuno deve tornare più o meno alla propria vita, non possiamo spegnere la fantasia con un interruttore, lo so perché è tutta la vita che ci sto provando. Però, se fissiamo un giorno alla settimana per trovarci e diamo libero sfogo all’immaginazione, allora la costringeremo a concentrarsi in quel giorno, la eserciteremo fino a quando sarà stanca e avrà bisogno di una settimana per riposarsi. E così la addomesticheremo, la faremo aspettare fino a quel giorno della settimana prestabilito, e lei si farà bella e potente perché aspetterà quel giorno come nessun altro, e ci sarà amica perché saprà apprezzare meglio quello spazio, quel momento, in cui le lasceremo la parola e accetteremo di perderci tra le sue pieghe dorate di virtuosismi sincretici dolci e salati”.
Tutti volevano sapere cosa fossero questi virtuosismi sincretici dolci e salati; ma di comune accordo, per non perdere altro tempo, decisero invece il giorno della settimana in cui fissare l’appuntamento con la fantasia. Era il venerdì, quel giorno ibrido in cui ti senti già nel weekend ma di fatto devi studiare lo stesso: era il giorno perfetto da consacrare all’inutilità della fantasia. I dieci ragazzi, esausti dopo il dibattito, si addormentano. Solo l’autore del GraDiOss sorrideva dal retro del libro dimenticato sul pavimento: era Giovanni Boccaccio.