4. NEIFILE

Quando Ellissa ebbe finito di parlare, i nostri dieci eroi si erano fatti prendere dal sonno, ma non dallo sconforto. Queste storie che avevano iniziato a raccontarsi stavano facendo il loro lavoro: li mantenevano attivi e speranzosi e vicini gli uni agli altri. Nei giorni in quarantena che seguirono ne furono raccontate tante altre, da ora di colazione a cena. E 
siccome gli studenti universitari senza lezioni alle 8 di mattina se la prendono con calma e fanno baldoria fino a tardi, il racconto in questione fu raccontato verso le 2 di notte e di questo non ci si deve stupire. È l’unico motivo per giustificare l’assurdità delirante della storia. A prendere la parola era stata Neifile che, zitta zitta, non aveva ancora espresso commenti sulla situazione di pandemia che infuriava fuori da quelle mura. La serata si stava tirando per le lunghe e le birre rimaste erano spaventosamente poche. Incominciò così: “Voglio che l’ultima storia di stasera vi prepari già al mondo dei sogni, perciò sarà onirica e delirante. Ecco la storia delle galline che ascoltano musica classica. 
La mia casa, alla periferia della città, si affaccia sul cortile privato di un vecchio e delle sue tre galline. Non solo le mie finestre danno su quel cortile, ma anche quelle di un professore universitario, che ha trovato rifugio in campagna per passare un anno sabbatico in tranquillità. Quando mi trovo in casa mia, sento sempre lunghi e solenni concerti di musica classica provenire dalle sue finestre a tutte le ore del giorno. Per caso – o forse perché il professore sta segretamente sottoponendo le galline alla musica classica come esperimento scientifico, come si fa con le piante per vedere se crescono più verdi o con le scimmie per vedere quale parte del loro cervello reagisce alla musica – la casetta dove si coricano le galline ogni notte è proprio sotto la sua finestra. Si tratta di tre galline ovaiole, placide, ubbidienti. All’alba si svegliano, al tramonto vanno a dormire, puntuali, all’ora del pasto, servito dal vecchio, becchettano civilmente. Potete immaginare, dunque, le conseguenze della musica classica su degli esseri già così naturalmente civilizzati. Hanno passato un anno ascoltando una volta al giorno la sinfonia n.7 di Šostakovič, che il professore ascolta a colazione, e poi durante la giornata si passa da Bach a Hendel a Mozart a Schubert. Soprattutto i tedeschi. Il fatto straordinario accadde durante l’estate scorsa. 
Già immaginavo quanto progresso stessero facendo quell’anno, più di quanto qualsiasi gallina potrebbe sperare. Se ci fosse un Nobel all’intelligenza delle galline, queste tre ovaiole di certo avrebbero potuto competere degnamente. 
L’estate scorsa, dicevo, avevo iniziato a spiarle da dietro le tende di casa mia, quando vidi il fatto in questione: in cerchio intorno a un catino, le vidi preparare le uova — che avevano deposto la mattina stessa — à la coque. C’era inoltre un gran chiocciare intorno alla pentola: opinioni sul tempo di cottura, sulla salatura, sulla presentazione. Capii 
che era la prima volta che cucinavano l’uovo in quella maniera ma non era la prima volta che intavolavano discorsi. Nei mesi che seguirono riuscii a spiarle spesso: si dichiaravano femministe, autonome da qualsiasi gallo; nel rivolgersi l’una 
all’altra anteponevano al nome apposizioni come “spettabile”, “gentilissima”, “cordiale”; conferivano su problemi quotidiani, come i parassiti da poco insediatisi sulle zampe di due di loro, ma anche su concetti astratti come l’essere in relazione al mondo, la gallina come rappresentazione imperfetta dell’idea di gallina. Questi sono solo alcuni esempi che riuscii a origliare in quel periodo. Una volta, durante una mattinata soleggiata, partì un valzer e una di loro, la più vivace, accennò a qualche passo di danza, mormorando “Un, due, tre, un, due, tre” e aprendo leggermente le ali per mantenersi in equilibrio. “Quale eleganza!” aveva esclamato un’altra, ammirandola. 
Non si ribellavano al taglio mensile delle ali, come delle galline qualunque. Al contrario, dopo una ventina di giorni iniziavano a lamentarsi di essere sciatte: dichiaravano di sentire la necessità di un nuovo taglio, anche solo delle punte. 
La più fervida amante di Šostakovič aveva preso a imparare il russo. Tutte e tre si aiutavano l’un l’altra nella scrittura di sonetti e ballate: il confronto, dicevano, giovava molto alla loro scrittura. Ogni tanto la sera, dalla loro casetta dove si accomiatavano non appena calava il sole, le sentivo accendersi in discussione sui grandi temi dell’attualità: distinguevo parole come “catastrofe ambientale”, “abbassamento del PIL”, “dispersione scolastica”. In quelle occasioni, il giorno dopo l’anziano proprietario suonava a casa nostra chiedendo se avessimo sentito strani rumori durante la notte, poiché non riusciva a spiegarsi come fossero sparite alcune bottiglie di vino rosso dalla dispensa. 
Ebbene, ancora non so se anche il professore stia studiando, come faccio io, i cambiamenti che sono avvenuti e che ancora avvengono in queste galline. Ma di certo so che, se non lo sta facendo, sta perdendo una grande opportunità di ricerca. Se non la pubblica il professore, la ricerca scientifica, la pubblico io.” 

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