5. DIONEO

Terminato il racconto di Neifile, toccava a Dioneo prendere le redini della serata: ”Bene, dopo un racconto così simpatico, credo sia arrivato il momento di aggiungere un po’ di suspense all’atmosfera di stanotte. Che ne dite di un bel giallo?” I membri dell’allegra brigata, intrigati dalla proposta, risposero con gioia ed interesse al giovane Dioneo, che subito cominciò a narrare: 

Dopo mesi di duro lavoro, lo sceriffo Makor può finalmente rilassarsi e forse perfino divertirsi: oggi è il 64° compleanno del Duca di Gamstart ed in serata si terrà una festa nella sua villa in campagna. Dopo aver indossato il suo abito da sera più elegante, regalatogli dalla madre in occasione della sua entrata nel corpo delle guardie di Valinia, lo sceriffo monta a cavallo e si dirige verso il palazzo ducale. Ci penseranno i suoi sottoposti a montare la guardia in città stanotte, è tempo di fare baldoria! Il posto è splendido: la villa è addobbata a festa, i fiori dell’immenso giardino ducale emanano un profumo delizioso e perfino l’aria ha un che di spumeggiante. L’anziano nobile è un uomo estremamente noioso, ma anche estremamente ricco e non ha badato a spese: il salone principale è illuminato da un esercito di fiaccole, vasi traboccanti di fiori spuntano in ogni angolo e nell’enorme caminetto brucia legno dei boschi di Galamia. La serata trascorre piacevolmente tra succulenti piatti di carne ed inebrianti coppe di vino. Pur non avendo mai amato i dolci, Makor deve ammettere che perfino la torta, servita alla fine del banchetto, è divina. A parte la scenata di Sabrina, consorte del festeggiato, che intorno alle undici litiga col marito dopo aver palesemente bevuto troppo, tutto procede a meraviglia. Fino all’urlo. Quando la festa sta ormai volgendo al termine, un urlo terrificante squarcia l’allegra atmosfera. Mentre gli altri invitati si chiedono cosa stia succedendo e qualcuno pensa si tratti solo di uno scherzo di cattivo gusto, lo sceriffo si prepara ad entrare in azione. Anni di esperienza lo hanno portato a capire che un grido del genere può significare soltanto una cosa: qualcuno deve aver trovato un cadavere. Nella sala giunge trafelato Iolim, il giovane conte di Tambré, con una faccia stravolta dalla paura. ”È morta! La duchessa è morta!” Nel giro di pochi secondi, la gioiosa serata si trasforma in una tragedia. Lo sceriffo Makor sa di avere il dovere di risolvere questo crimine: a parte gli scagnozzi personali del duca (una manica di ubriaconi, buoni solo a fingersi pericolosi), lui è l’unica altra guardia presente. Aspettare che arrivi qualcuno dalla città è impensabile: ci vorrebbero ore, e Makor sa che più il tempo passa, più sono le probabilità del colpevole di farla franca. Deciso a porre fine a questa storia il prima possibile, lo sceriffo valiniano obbliga l’ancora sconvolto conte a portarlo sul luogo del delitto. Salite le scale, entrano nella camera da letto dei Gamstart (di norma, lo sceriffo chiederebbe il permesso al padrone di casa prima di entrare nelle sue stanze private, ma il povero duca è svenuto alla notizia della morte di sua moglie). La scena che gli si presenta è raccapricciante: la vittima è nuda e distesa sul letto, con un coltello conficcato nel petto. Un bagno di sangue. ”Qualcuno dovrà comprare nuove lenzuola, mi sa” pensa Makor tra sé e sé. L’ironia è il suo metodo per sdrammatizzare in situazioni che altrimenti lo metterebbero a disagio (senza di essa, sarebbe impazzito parecchi omicidi fa). Una più attenta osservazione del cadavere porta l’investigatore a concludere che l’arma del delitto è uno dei coltelli serviti assieme alla torta a fine serata, quindi un oggetto a cui tutti gli invitati ed i membri della servitù avevano accesso. Il corpo non mostra segni di lotta, quindi forse la duchessa è stata colta di sorpresa, o magari l’assassino era qualcuno che lei conosceva. Dopo aver esaminato la scena del crimine, è tempo di passare agli interrogatori, ed essendoci un solo testimone la scelta è piuttosto limitata. ”Dite un po’, signor conte” chiede Makor ”Cosa diavolo ci facevate voi nella camera da letto della duchessa?”. ”Beh, e-ecco io..” dice il Conte Iolim, arrossendo vistosamente ”Io… Ehm, stavo cercando il bagno, sì!”. ”Il bagno? Voi stavate cercando il bagno?!” esclama lo sceriffo spazientito ”Altezza, faccio questo mestiere da prima che voi nasceste e nel mio lavoro ne ho sentiti di alibi assurdi, ma il vostro li batte tutti”. ”Voi non mi credete, sceriffo Makor?” chiede il giovane spaventato, col tono di chi sa di averla fatta grossa. ”Certo che non vi credo! Ci sono ben sei bagni al piano terra, tutti facilmente accessibili dal salone della festa, e voi mi dite che vi siete fatto due rampe di scale e vi siete accidentalmente introdotto nella stanza da letto del duca e di sua moglie? Vi dirò io come stanno le cose: voi siete l’ultima persona ad essere stata sul luogo dell’omicidio e quindi al momento siete il sospettato numero uno. Voi potete aiutarmi e collaborare, ma se non lo fate non avrò altra scelta se non quella di consegnarvi alle guardie cittadine, che a quest’ora sono senza dubbio già state allertate. Infine vi ricordo che l’assassinio di un nobile è punito con l’impiccagione, anche se il colpevole è a sua volta membro della nobiltà”. ”Sospettato? Assassinio? Colpevole?! Ma non crederete davvero che l’abbia uccisa io? Io… Io l’amavo!”. La dichiarazione del conte coglie il detective di sorpresa: ”Come prego? Voi amavate la duchessa? Eppure non potevate non sapere che era sposata!”. ”Sì che lo sapevo! E con ciò?” ribatte il giovane nobile con orgoglio ”Io amavo Sabrina e lei amava me! La nostra relazione durava ormai da quasi un anno. Per quale altro motivo sarei dovuto venire stasera? Non di certo per quella vecchia cariatide del duca!”. ”Ma cos’ha questo a che fare con la morte di madame Gamstart?” continua lo sceriffo, poco interessato alle questioni di cuore dei nobili. ”Ecco, io, dopo che la mia amata aveva litigato con suo marito, mi sono defilato dal resto dei presenti e sono venuto da lei, qui in camera sua. Lei mi chiese di andare nelle cantine del palazzo e di portarle una bottiglia di Vinka, il suo vino preferito. Disse che nel frattempo si sarebbe spogliata e mi avrebbe aspettato a letto, ma quando sono tornato lei era… Lei…”. Il conte non riesce a terminare il racconto, ma per Makor è più che sufficiente per scagionarlo: ”Da come parlate capisco che l’amavate davvero e dubito fortemente siate stato voi, non preoccupatevi. Ma allora chi è stato? Avete qualche idea? Forse la duchessa aveva dei nemici”. ”Nemici? Sabrina non aveva nemici, lei era troppo perfetta per non piacere a chiunque la incontrasse!” esclama Iolim ”Ma se volete il mio parere, è stato il Duca Urgam, suo marito! Deve aver capito che lei lo stava tradendo e l’ha uccisa in un raptus di gelosia!”. ”Ne dubito, signor conte” taglia corto Makor ”Il duca è più mite di un cucciolo e non avrebbe mai avuto la forza di compiere un atto del genere. E poi lui stravedeva per la duchessa! Vi ringrazio per l’aiuto, ma è meglio se lasciate a me condurre le indagini”. Finito l’interrogatorio, lo sceriffo torna al piano terra, ancora intenzionato a venire a capo della questione, nonostante i pochi indizi. Nel salone il caos regna sovrano: il duca si è ripreso ma è ancora sotto schock, le guardie ducali hanno impedito agli ospiti di andarsene, ma non hanno fatto nulla per calmarli ed ora una massa di decine di nobili viziati e poco abituati ad essere spaventati si trova chiusa nel salone principale in preda al nervosismo ed all’isteria. Tutti gli invitati sono in preda al panico. Tutti tranne uno. O meglio, una: madame Marsha, figlia del barone di Vograd, siede impassibile in un angolo, con lo sguardo perso nel vuoto ed in mano una fetta di torta. Incuriosito ed insospettito dallo strano comportamento della ragazza, lo sceriffo si avvicina e le si siede accanto: ”Vi vedo insolitamente tranquilla, mia signora, qui tutti stanno dando di matto tranne voi. Non avete paura che l’assassino sia ancora qui tra noi?”. La giovane baronessa, al suono della parola ‘assassino’, sembra uscire da una sorta di trance, come se si fosse appena svegliata. ”Assassino? No, io… Non ho paura. E poi sono sicura che se il colpevole è arrivato a compiere un gesto così estremo, sicuramente la duchessa se lo meritava” risponde Marsha con voce glaciale. ”Capisco…” continua lo sceriffo ”E ditemi, mia cara, come mai avete ancora con voi quella fetta di torta? Il dolce è stato servito ore fa, eppure vi tenete il piatto stretto al petto”. La baronessa abbassa lentamente lo sguardo al piatto che tiene attaccato a sé, quasi non se ne volesse separare: ”Sì, io… Avevo fame, così sono andata nelle cucine a prendere una seconda fetta. Ma come mai me lo chiedete, sceriffo?”. ”Beh, madame Marsha, come voi saprete io sono capo delle guardie della capitale e non si raggiunge una posizione del genere prima d’aver risolto innumerevoli casi, di conseguenza col tempo ho sviluppato una particolare attenzione per i dettagli”. ”Perché mi state dicendo questo, sir Makor?” ”Perché sono sicuro che quando vi siete recata nelle cucine gli inservienti si siano premurati di darvi assieme alla torta, anche coltello e forchetta, eppure vedo che siete sprovvista di coltello. Dato che sono pressoché certo non si sia trattato di una svista dei servi di palazzo, devo chiedervi: dov’è il vostro coltello?”. La domanda, apparentemente innocua, sembra sconvolgere la fanciulla che fino a poco fa pareva priva di emozioni. Il solo sguardo di lei basta a Makor per capire. Marsha si guarda attorno per un secondo, ma capisce che tentare la fuga sarebbe inutile: ogni uscita è stata bloccata dalle guardie di Urgam. Lo sceriffo si alza ed annuncia con tono solenne: ”Per quanto sia io che voi conosciamo già la risposta, le formalità mi impongono di porvi un’ultima domanda, madame: avete ucciso voi la Duchessa Sabrina di Gamstart?”. ”Sì, sono stata io!”  urla lei, dopo aver ormai perso ogni compostezza ”L’ho ammazzata io quella strega!”. Il duca sviene una seconda volta. ”Perché?!” A gridare stavolta è Iolim. ”Perché ti aveva portato via da me!” ribatte Marsha piangendo ”Dopo che aveva litigato con suo marito, sono andata a prendere una seconda fetta di torta, con l’intenzione di portargliela per consolarla, da buona amica. Ma quando sono entrata nella sua stanza, l’ho trovata nuda e voltata di spalle. Mi pareva strano, ma poi mi ha chiesto ‘Sei tu, Iolim?‘ e allora ho capito: eravate amanti! Lei un marito ce l’aveva già e le avevo confessato in privato di provare sentimenti per te, ma a quella megera non importava. A quel punto qualcosa è scattato in me: mi sono avvicinata e come lei s’è voltata, le ho piantato la lama nel suo cuore vuoto! Poi l’ho lasciata lì, mi sono ricomposta e sono tornata alla festa. Avrei voluto sbarazzarmi di questo dannato dolce, ma non ce l’ho fatta, non riuscivo a separarmene”. Nella stanza che fino a un attimo fa era tanto chiassosa, ora regna un silenzio di tomba. Le guardie del duca prendono Marsha in custodia e un messaggero viene inviato al Barone di Vograd per informarlo dell’accaduto e dell’arresto di sua figlia. Mentre torna a casa ormai allo spuntare dell’alba, Makor riflette che se fosse rimasto in città per il turno di notte, invece che andare alla festa, avrebbe trascorso una nottata più tranquilla: ”Coi briganti ed i ladri ci so fare, ma alle follie d’amore non mi ci abituerò mai!”. 

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