9. LAURETTA

“Nessuno ha parlato di Filosofia”, disse Lauretta. Tutti la guardarono perplessi: sembrava che Filostrato non fosse l’unico perso nel suo mondo. Cosa c’entrava in quel momento la filosofia? Lauretta parlò come se qualcuno le avesse rivolto la domanda a voce alta: “Filosofia c’entra sempre, voi non potete neanche decidere di non essere interessati a Filosofia, senza filosofeggiare.”, lo disse meccanicamente. Per lei era ovvia l’importanza di Filosofia, ma aveva dovuto spiegarla agli altri fin troppe volte. “Ci pensate a quali cose meravigliose accadono dentro alla testa di un filosofo? Quale splendido universo, quali connessioni mentali, logiche e non logiche, ci sono in quei cervelli? Davvero nessuno di voi, prima di andare a dormire, si chiede come possa una persona pensare a qualcosa a cui nessuno ha mai pensato prima?”. Le brillavano gli occhi, però no, nessuno di loro ci aveva mai pensato. Certo, tutti quelli che si sono ritrovati a studiare filosofia almeno una volta nella vita si sono chiesti: “Ma questo si drogava?”, ma quel pubblico sapeva che non era questo ciò che Lauretta intendeva. Quello che però lei non sapeva è che le persone di solito non pensano a Filosofia prima di andare a dormire. 
“E allora?”, incalzò lei, “cosa accade nella mente di un filosofo? Quanto possiamo essere diversi, pur facendo parte della stessa specie animale? Ve lo immaginate un Platone che cammina in un bosco, che non ha ancora immaginato di scrivere La Repubblica, e in quel bosco iniziano a venirgli le prime idee?” 
“Platone ha pensato alla Repubblica camminando in un bosco?”, chiese qualcuno. Lauretta era troppo impegnata a parlare di Filosofia, per chiedersi chi avesse parlato. 
“No, cioè non lo so dove l’abbia pensata. Provate solo a immaginare che sia successo così. Ci siamo raccontati storie fin adesso, so che la fantasia non vi manca. Partiamo dal bosco. Immaginate un bosco fitto, gli alberi schermano i raggi del sole estivo, l’aria è calda. Ogni tanto si alza una leggera brezza a dare un po’ di sollievo, un attimo di respiro. Platone stava camminando lungo un sentiero stretto, probabilmente stava rimuginando sulla morte di Socrate. Forse si stava chiedendo il perché, forse rifletteva sull’ingiustizia subita da Socrate, forse è questo a fare da leva, a far scattare la prima domanda: in una città più giusta sarebbe successo? Ma come definire “giusta” una città? Come definire dunque cos’è la giustizia? “Magari la giustizia è fare del bene ai propri amici.”, borbottò tra sé e sé istintivamente. Ridacchiò divertito: Socrate non avrebbe mai accettato una risposta del genere. “Beh, allora la farò dire a Polemarco, una cosa così stupida.” Sì, Polemarco se lo meritava, negli ultimi tempi quel ragazzo gli stava antipatico. Avrebbe scribacchiato un dialogo sulla giustizia e gli avrebbe fatto dire una cosa così stupida, e Socrate lo avrebbe corretto, avrebbe avuto il ruolo di quello intelligente, d’altronde era Socrate. Faceva finta di non sapere, ma in realtà sapeva sempre tutto. 
Platone sentì un ronzio che lo distrasse da quel flusso di pensieri. Un’ape gli era passata vicino, era diretta verso un alveare poco distante dal sentiero. Lui vi si avvicinò, si fermò a qualche passo dall’alveare. Le vedeva brulicare, tutte ammucchiate, eppure ordinate. Ogni ape era impegnata a fare qualcosa, sembrava che tutte sapessero esattamente dove andare, cosa fare, come muoversi. Platone sorrise divertito: “Animali interessanti le api.” Ricominciò a camminare riflettendo sulle api. Non era male la loro società. Sarebbe stato bello essere un’ape, sicuramente nell’alveare non c’erano api tiranne che avvelenavano con la cicuta api innocenti e sagge. Ogni ape faceva quello per cui era nata e faceva crescere l’alveare, era una società basata sulle capacità e le attitudini di ogni componente, non sull’appartenenza di nascita alla classe sociale. Passeggiava e fischiettava e pensava alle api e pensava a Socrate e pensava alle classi sociali. 
Tra un pensiero e l’altro, borbottando tra sé e sé, Platone arrivò a un punto della montagna dove gli alberi si diradavano, aprendo il paesaggio al panorama. La valle sotto la montagna splendeva illuminata dal sole. Platone soffermò lo sguardo su un piccolo villaggio situato lì sotto: era abbastanza vicino da permettere di scorgere con un po’ di fatica le persone. Un uomo stava camminando lungo una strada, in direzione del villaggio. Nella zona del mercato erano tutti ammucchiati, eppure ordinati. Ogni persona era impegnata a fare qualcosa, sembrava che tutte sapessero esattamente dove andare, cosa fare, come muoversi… Lampo di genio: le persone e le api, le api e le persone. E se noi fossimo api?” 
Lauretta fece una pausa solenne e infine concluse: “Ed è così, signore e signori, che ebbe vita La Repubblica”. 
Otto paia di occhi spalancati la fissavano. Ciò che più li aveva lasciati di stucco era stato l’entusiasmo esagerato con cui la ragazza aveva raccontato una storia del genere. Nessuno ne aveva capito il senso, ma non ebbero il coraggio di spegnere l’entusiasmo di Lauretta dicendole la verità. Si complimentarono con lei e poi decisero di andare a dormire esausti dall’ennesima, faticosa giornata di inattività. Nel buio Lauretta sentì qualcuno mormorare: “Cosa c’entrano le persone con le api?”. Sorrise soddisfatta: Filosofia avrebbe fatto compagnia a qualcuno di loro, quella notte. 

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